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Una
delle città simbolo della navigazione fluviale è Pordenone. Lo abbiamo
visto nel capitolo precedente e lo constateremo nei due capitoli
successivi. L’antica Portus Naonis deriva chiaramente il suo nome da
un’attività portuale molto intensa che ha fatto della zona un avamposto
verso le vie di comunicazione da e verso il Nord. Però, a causa del
progresso tecnologico, si è perduto il significato e l’utilità di scalo
fluviale. Nella seconda metà del secolo scorso si è verificata la
traumatica interruzione con il passato.
Contemporaneamente è nata una
presa di coscienza nuova, tesa al recupero delle peculiarità del
passato, in chiave via via più moderna, al punto che i progetti di
reintegro della funzione mercantile sono stati sostituiti con piani di
fruizione turistica e ambientalistica del fiume.
Non tragga in inganno l’affermazione relativa ai piani di
valorizzazione: molto resta ancora da fare. Soprattutto va raggiunta una
caratterizzazione della città e della sua zona come porto fluviale.
Storicamente, il merito del recupero della tradizione e di averne
aggiornato le caratteristiche spetta alla Fiera di Pordenone che, negli
anni Sessanta, diede vita a un movimento culturale, economico e sportivo
tendente a rilanciare la cultura della navigazione sull’asse
Noncello-Meduna-Livenza.
Fu l’allora segretario generale Giovanni
Zuliani, sotto la presidenza di Luciano Savio, a rilanciare il concetto
di navigabilità e la necessità di navigazione. Tant’è vero che, nel
progetto di costruzione della nuova cittadella fieristica, nel sito
attuale tra viale Treviso e il corso del Noncello, fu previsto un
impianto diportistico con tanto di darsena, impianto cantieristico e
annesso centro sportivo.
Non se ne fece nulla, a causa delle
incomprensibili indecisioni che caratterizzano la politica delle
Amministrazioni comunali nei confronti del fiume. Oppure, bisogna dirlo,
nel recupero di entusiasmo che spesso accompagna i periodi di
abbandono, si pensò a un progetto di dimensioni troppo estese per le
esigenze stesse della città. Infatti, si ripiegò, seppure in forma
provvisoria, sulla scelta dell’attuale imbarcadero nella zona Marcolin.
Poiché se n’era persa memoria, la Fiera, nel 1966, riuscì a far
compiere un viaggio dimostrativo da un traghetto dell’Acnil (l’allora
azienda municipalizzata per i trasporti urbani di Venezia), giunto
appositamente dalla città lagunare, e si diede vita, per la prima volta,
a convegni specifici. Non vi fu un grande seguito negli anni
successivi, ma sicuramente quelle iniziative servirono a ridestare
l’interesse di tanta gente nei confronti dei nostri fiumi e a richiamare
l’attenzione delle autorità decisionali sulla questione della
navigabilità. Alla fine, il seme gettato da Zuliani sta dando i suoi
frutti, se si considera che la nuova Amministrazione comunale nata dalle
elezioni di quest’anno afferma di voler fare proprio quel programma con
una politica attiva di riscatto e di valorizzazione del nostro corso
d’acqua. Da allora molta strada resta ancora da percorrere, ma
sicuramente si può considerare che Zuliani agì da illuminato
protagonista e suggeritore.
…
Alla ricerca della navigabilità
perduta. Indubbiamente si dovrà trovare un’intesa per far convivere le
varie proposte. Innanzitutto, bisogna fare attenzione a non
criminalizzare i gommoni a vantaggio di altri mezzi quali gli
hovercraft, peraltro in odore di dannazione per inquinamento acustico e
ambientale. A favore dei gommoni giocano oggi fattori di tecnologie
avanzate. Per esempio, i fuori bordo a 4 tempi, il cui scarto rasenta lo
zero, al pari del numero dei decibel.
Tra possibilità, ipotesi e tabù, un fatto è certo: si può ritrovare
la navigabilità perduta mantenendo il senso di equilibrio e di rispetto
nei confronti dell’ambiente fluviale. Un ambiente, chiariamolo subito,
che è stato favorito quasi per paradosso dalla navigabilità perduta. In
pratica quando i tre fiumi non sono stati più indispensabili per il
trasporto di cose e di persone, le loro sponde si sono riempite di flora
e di fauna. In particolare, sul Noncello, sono stati quattro i momenti
che hanno favorito l’ambiente: all’inizio dell’Ottocento, quando la
potenza occupante, l’Impero austro-ungarico, costruì dapprima la nuova
grande strada, oggi nota come Pontebbana (ideata già da Napoleone), e la
ferrovia Venezia-Udine; gli scavi per il mancato porto avviati alla
fine della prima guerra mondiale, che hanno indubbiamente facilitato lo
stesso processo di imboschimento e persino tratti di oasi naturali per
la fauna; nel 1938 quando il decreto del Magistrato alle Acque proibì la
navigazione a motore.
Da un punto di vista strettamente ecologico
tutto questo patrimonio dovrebbe essere lasciato come sta per non essere
preda delle conseguenze negative del turismo nautico. Senonché, per
troppi anni, il Noncello (così come è stato per Meduna e Livenza), è
stato abbandonato a se stesso ed è diventato quasi un collettore a cielo
aperto di fognature civili e di scarichi industriali.
Tuttora, per
mancanza di una cultura ecologica, i tre bellissimi fiumi vengono
trattati come discariche per qualsiasi rifiuto. Nessuna istituzione è
riuscita mai a condurre un programma di collaborazione reciproca per
salvaguardarli dal degrado. Le alluvioni ricorrenti hanno per fortuna
mantenuto desta un’attenzione che ha dato parziali risultati in fatto di
manutenzione generale. È mancata in sostanza una vera politica per il
governo del fiume.
Oggi è arrivato forse il momento di comprendere
quali risultati potrebbero venire da una svolta che dia spazio al
turismo come occasione di fruizione dei tre corsi d’acqua, di
investimenti, di reddito e di indotto, oltre che di controllo e di
manutenzione. È indubbio infatti che, soltanto vivendo dal di dentro
questo ambiente naturale, possa diventare costante ogni tipo di
monitoraggio per evidenziare i mali, garantire gli interventi necessari e
le opere di salvaguardia. Tra queste ultime vanno citate la pulizia dei
fondali e il taglio frequente delle piante sulle sponde per evitare le
conseguenze più gravi non solo ai natanti ma alla stessa sicurezza delle
zone rivierasche durante le alluvioni.
Immaginiamo allora quali
possano essere i vantaggi per i paesi e le città che sorgono lungo i tre
fiumi e quali possano essere i benefici di un sistema turistico
organizzato. Possiamo farlo pensando un percorso ideale con capilinea
Sacile e Pordenone, a monte, e Caorle per lo sbocco al mare.
[…]
Il
percorso dei nostri fiumi e dei territori circostanti resta una
ricchezza fruibile, che deve essere colta nella forma migliore. Lo
dimostra l’itinerario ideale attraverso cultura, arte, storia e
paesaggio dei maggiori centri rivieraschi. Lo proponiamo ai lettori.